Con la pandemia sulle spalle
08 giugno
Con la pandemia sulle spalle
Formazione

Mercoledì 8 giugno 2022 ore 16
Auditorium Enrico Pogliani - Ospedale San Gerardo - Monza
CON LA PANDEMIA SULLE SPALLE
Condivisione del percorso formativo sui vissuti di medici, infermieri e operatori socio sanitari delle U.O. di Oncologia e Nefrologia durante il periodo pandemico attraverso la medicina Narrativa
A cura del Teatro Officina
Conduttori Daniela Airoldi Bianchi, Enzo Biscardi, Serena Gerardi
Ingresso libero con mascherina FFP2
La pandemia non ha solo un’energia di tipo distruttivo, ma porta con sé anche una forza definita di rimbalzo: è in grado, cioè, di farci fare dei salti evolutivi, di innescare dei meccanismi di crescita e di miglioramento della nostra specie. La crescita e il cambiamento di una comunità passano attraverso la consapevolezza, il primo step senza il quale non si vi può essere miglioramento. Qui andiamo a lavorare sui vissuti degli infermieri e degli anziani che vivono da soli in case popolari.
Gli infermieri non hanno potuto come noi rifugiarsi nel lock-down: hanno dovuto sostenere un corpo a corpo con la pandemia, sempre in prima linea e coinvolti in modo drammatico. Spesso si sono persino privati del riparo degli affetti domestici per paura di essere causa di contagio per i propri cari.
Lo psicanalista Vittorio Lingiardi racconta di aver ricevuto una telefonata a marzo da un medico dell’Ospedale di Bergamo, suo antico compagno di università, che gli confidava disperato: “Non hai idea di cosa significhi in una sola giornata chiudere gli occhi a 15, 20 cadaveri. Non puoi nemmeno immaginare cosa significhi entrare in un reparto strapieno, e sapere che non ci sarà posto per tutti in Terapia intensiva” (La cura, Radio Rai Tre).
La quantità di morti ed emergenze da fronteggiare e il senso di impotenza provato di fronte ad un virus di cui non si sapeva ancora nulla sono le due matrici da cui sono scaturiti lo stress e il burn-out del personale sanitario nella Bergamasca, uscito stremato dalla prima ondata pandemica. Le cicatrici lasciate da questa vicenda, si parla tecnicamente di disturbo post-traumatico, hanno bisogno di una cura (chi cura i curanti? Nessuno) e la cura deve partire dalle vite individuali, dalla storia unica e irripetibile che ogni infermiere porta dentro di sé: deve quindi passare attraverso la narrazione.
Gli anziani soli che vivevano in contesti difficili come nelle case popolari di Milano nei quartieri del Gratosoglio, del Lorenteggio, della Barona, si sono ritrovati completamente deprivati di ogni relazione, con il cibo lasciato sullo zerbino di casa, e nessuna relazione umana dentro le mura domestiche. I Centri Diurni che frequentavano, al termine della prima ondata pandemica hanno dovuto registrare negli anziani una pesante regressione, sia in termini mentali che fisici, la perdita secca di una serie di abilità che, non allenate, si sono vanificate. Scampati dal virus, ma soli e peggiorati.
E’ importante che il personale sanitario e i cittadini fragili come gli anziani soli, coloro che hanno vissuto in modo drammatico l’esperienza del Covid, mettano in atto pratiche per superare la paura, elaborare il lutto, maturare una nuova forma di resilienza che faccia fare un salto, inaugurando un nuovo processo, un futuro che vada nella direzione di uno sviluppo armonico della nostra comunità.
Con questo progetto vogliamo contribuire alla ricostruzione dei legami di comunità devastati dall’irrompere della pandemia: la medicina narrativa, una pratica di ascolto e di narrazione condivisa, può rappresentare un dispositivo potente e virtuoso. Al centro sono la persona e il suo benessere: attraverso l’uso del racconto autobiografico, del parlare di sé, del partire dalla propria esperienza di vita, si migliorano le relazioni di contesto in cui l’individuo si trova scagliato a causa dell’evento catastrofico della pandemia.
L’essere malati e il rischio concreto di morire ci rende fragili, ansiosi, isolati, chiusi in noi stessi. Pronunciare il nome delle emozioni che si sono provate è una prima strategia per uscire dall’angoscia (dare un nome alle cose è un modo per addomesticarle); provare a fare un racconto di “che cosa mi è successo ad un certo punto della mia vita quando la pandemia da Covid 19 è entrata nella mia esistenza” è un modo per riallineare i fatti, uscendo dal caos mentale ed emotivo in cui siamo stati gettati, è un modo per cercare un senso e incamminarsi verso la resilienza.
La medicina narrativa può consentire tramite una pratica di narrazione collettiva di dare parola e provare così a superare il vissuto di solitudine e di dolore legato all’esperienza della pandemia da COVID.